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Essere o non essere, questo è il problema! Influenza dei modelli mediatici e i loro effetti sull’aut


Nella cultura occidentale il corpo svolge da sempre un ruolo centrale nel rappresentare quello che dovrebbe essere l’ideale di bellezza; viviamo nella cosiddetta “era dell’apparire”, dove l’immagine diventa prioritaria nel relazionarsi con l’altro e molto spesso conta più dell’essere, cioè di tutte quelle caratteristiche intrinseche e personali che distinguono un individuo dall’altro.

Ad oggi l’essere sembra confondersi e coincidere con l’apparire: nel mostrare la nostra identità, il modo in cui appariamo agli altri fisicamente ed esteticamente è fondamentale. Si pensi ad esempio al corpo femminile, la cui bellezza e attrattiva costituiscono i tratti specifici della femminilità; si tratta ovviamente di ideali, se non stereotipi veri e propri, costruiti socialmente e culturalmente e in continua evoluzione, per i quali il corpo sembra riflettere i diversi mutamenti sociali adeguandosi ad essi.

Nel qui ed ora della nostra società, l’ideale estetico femminile promosso dai media è quello di donne sempre più giovani e snelle, mentre quello maschile è rappresentato da uomini muscolosi, ben piazzati, entrambi privi di difetti e sessualmente attraenti: sebbene si tratti di standard estetici irrealistici o appartenenti e raggiungibili solo da una piccola parte della popolazione, sebbene la maggior parte di noi sia conscia e consapevole di ciò, questi modelli sembrano comunque esercitare un peso e un’influenza non indifferente sulla propria percezione e soddisfazione corporea.

Programmi televisivi, social network, pubblicità e specialisti del settore ci inducono a credere che nulla è perduto, che il nostro corpo possa essere trasformato, “modellato”, trasmettendo il messaggio che la perfezione fisica ed estetica possa essere “acquistata” e ottenuta attraverso prodotti cosmetici, diete continue, esercizio fisico, interventi di chirurgia estetica etc. (Camussi e Annovazzi, 2013).

Il problema è quando il confronto continuo tra il proprio corpo e il modello mediatico dominante produce conseguenze negative come, in moltissimi casi, frustrazione, senso di inadeguatezza, insicurezza e scarsa autostima, accentuando così una valutazione di sé basata sull’immagine corporea.

Gli effetti negativi dei modelli mediatici sulla percezione del corpo furono sottolineati già negli anni ‘50 dalla “Teoria del Confronto Sociale” di Festinger, secondo cui gli individui acquisiscono informazioni su se stessi dal confronto che fanno con le persone che reputano “migliori” di loro: ad esempio, uomini e donne che osservano un modello estetico promosso dai media si percepiscono in difetto e iniziano a maturare un’insoddisfazione corporea. Ciò avviene perché si ha la percezione del canone estetico come normativo e reale, confondendo la bellezza mediatica e artificiosa con quella realistica e naturale. La discrepanza tra i due tipi di bellezza, mediatica e realistica, comporta una sensazione di deviazione dalla “normalità” che viene vissuta angosciosamente al crescere del divario (Dakanalis et al., 2012).

A risentire maggiormente dell’impatto del confronto sociale sono i giovani, durante l’età adolescenziale nella quale, come sappiamo, oltre al corpo cambia anche il valore e il significato che l’adolescente attribuisce a questo, in parte derivante dal giudizio e apprezzamento che sono gli altri a conferire al suo corpo (Carbone, 2010); questo sottolinea come nella costruzione dell’immagine corporea sia rilevante l’interazione tra fattori psicologici, sociali e culturali.

Infatti, oltre all’immagine corporea soggettiva e percepita l’adolescente ne costruisce una seconda, un’immagine ideale, o idealizzata, costruita su valori sociali e culturali, osservando e comparando il proprio corpo con quello dei pari e dei personaggi mediatici che ammira fisicamente e identificandosi con essi (Lalli, 1997).

Questo confronto verso l’alto può spiegare in parte l'influenza che i media e la società hanno sulle valutazioni che l’adolescente fa di se stesso: un aspetto gradevole, l’adeguatezza dell’abbigliamento e il modo di atteggiarsi sono, specialmente in quest’età, fattori promuoventi l’accettazione, l’appartenenza e l’interazione sociale.

A tal proposito Fredrickson e Roberts (1997) hanno teorizzato il concetto di “Objectified Body Consciousness” (OBC), ovvero Coscienza Corporea Oggettivata, che consiste nella tendenza a considerare il proprio corpo come un oggetto per gli altri, da guardare, valutare e tale esperienza di oggettivazione emerge a partire dalla maturazione sessuale quando i corpi degli adolescenti cominciano a svilupparsi.

Gli adolescenti infatti interiorizzano facilmente questa prospettiva (auto-oggettivazione), cioè vedono se stessi come oggetti da stimare in termini di bellezza e aspetto esteriore, si impegnano in pensieri e comportamenti di controllo del corpo e sperimentano un intenso sentimento di vergogna e insoddisfazione per il fisico, poiché credono che il loro aspetto non sia al livello degli standard culturali.

Uno studio (Lindberg, Grabe e Hyde, 2007) ha dimostrato come la crescita puberale influisca sul fenomeno dell’OBC: in questo periodo l’aumento di peso e l’aspetto formoso allontana le ragazze dai modelli mediatici di corpo femminile ultrasottile e magro, il che amplifica le preoccupazioni per i propri cambiamenti fisici e dell’immagine corporea, aumentando l’attenzione e la concentrazione sul proprio aspetto fisico cui viene attribuita maggiore rilevanza.

Diversamente dalle ragazze, nel periodo puberale i ragazzi recuperano in crescita e peso, i loro corpi si definiscono e si slanciano favorendo il loro raggiungimento dell’ideale culturale di corpo iper-maschile e iper-muscoloso e quindi tendono ad essere più soddisfatti del loro sviluppo rispetto alle ragazze. Dunque, anche se in modo differente, l’OBC influisce sulla percezione sia del corpo femminile che maschile; se le ragazze si sentono sotto pressione da parte dei media per essere molto magre e longilinee, i ragazzi si sentono sotto pressione affinché siano agili e muscolosi, con la differenza che nelle ragazze vi è una maggiore sorveglianza e vergogna del corpo, mentre nei ragazzi questo non avviene.

Tuttavia, come sostengono gli stessi autori della teoria e le ricerche successive, l’oggettivazione del corpo e la sua interiorizzazione riducono la consapevolezza dei propri stati interiori e la corretta decodifica di sensazioni ed emozioni.

Modelli culturali e mediatici influiscono non solo sulla propria immagine e percezione corporea ma anche sull’autostima: uno studio (Tucci e Peters, 2008) ha riscontrato che quando delle studentesse universitarie guardavano una rivista, immagini o siti web con figure di donne magre, oltre a sviluppare maggiori sentimenti negativi verso i propri corpi, dichiaravano un abbassamento dell’autostima sociale (interpersonale). Invece l’esposizione a riviste o immagini di uomini muscolosi sembra non avere alcuna conseguenza sull’autostima globale maschile; uomini sottoposti ad immagini di modelli maschili muscolosi valutano più negativamente il proprio corpo ma l’autostima, nel suo complesso, non viene influenzata o compromessa come avviene nelle donne.

La questione sorge quando coloro che sono suscettibili alle immagini mediatiche (pubblicità, riviste, programmi televisivi e social network) poi le interiorizzano: si crea così un circolo vizioso in cui più si interiorizzano tali immagini e più si perseguono questi modelli mediatici. Benché si sia ipotizzato che l’influenza mediatica sia più forte nel campione femminile, da uno studio (Fernandez e Pritchard, 2012) è risultato che questa agisce direttamente e allo stesso modo in entrambi i sessi, fatta eccezione per l’interiorizzazione che rimane significativa solo nelle donne. Sia maschi che femmine ritengono che il proprio corpo debba assomigliare il più possibile a quello proposto dai modelli mediatici, ma solo le donne sembrano interiorizzare tali modelli come ideali a cui ispirarsi e da raggiungere ad ogni costo; mentre è possibile che gli uomini cerchino in queste immagini una motivazione per raggiungere un obiettivo che può essere più o meno realizzabile per loro.

Riguardo ai rischi e alle conseguenze di questa affannata e angosciosa ricerca di far rientrare il proprio aspetto fisico nei canoni estetici culturali, autori (McCaulay, Mintz e Glenn, 1988) affermano come le donne, ma recentemente potremmo dire anche gli uomini, soffrano sempre più spesso di problemi quali anoressia, bulimia e dimostrino una preoccupazione ossessiva per il peso e la dieta.

Inoltre gli ideali estetici culturali a volte implicano dei veri e propri disturbi di dispercezione corporea, soprattutto nelle donne che solitamente tendono a percepirsi, in modo alterato, come più grosse e pesanti rispetto alla realtà; gli uomini invece sembrano più precisi nella loro percezione corporea, ma dimostrano una leggera distorsione nel vedere i propri corpi come più piccoli rispetto alla loro effettiva dimensione.

Dunque, più il canone estetico mediatico è alto, irraggiungibile e “normalizzato”, più la discrepanza con il proprio corpo sarà avvertita come insuperabile e l’insoddisfazione e probabilmente comportare conseguenze importanti sull’autostima, sulla sicurezza e sulla predisposizione ad alcune psicopatologie, quali disturbi dell’immagine corporea e/o disturbi alimentari.

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