Se il web e la vita si svuotano dei valori
Ho scelto di dare a questo mio intervento un'impostazione diversa - avrei potuto parlare della condizione della donna nella Chiesa e nel mondo secondo la visione cattolica, richiamando "Il genio delle donne" (Giovanni Paolo II) o quanto sta facendo papa Francesco in proposito -, ma ritengo sia più utile, anche in relazione alle cose fin qui ascoltate, cercare di estendere il dibattito ad aspetti più ampi, in qualche modo di scenario, rispetto al tema specifico di questa tavola rotonda * .
Vivere la realtà, nel tempo della comunicazione in tempo reale, nel tempo di internet e dei social network – non più strumenti ma essi stessi ambienti, anzi come dice qualcuno un vero e proprio “sesto continente” – comporta sempre un doppio piano di lettura.
C’è la realtà effettiva, oggettiva, quella che possiamo toccare con mano nella nostra esperienza quotidiana, e c’è poi la realtà percepita, quella cioè indotta dalla frequentazione di quegli “ambienti” – appunto – della comunicazione in tempo reale di cui si è detto.
Realtà effettiva e realtà percepita possono essere più o meno allineati, ma a volte risultano in forte contrasto. Soprattutto se per una sorta di errore di parallasse, come direbbero i fotografi, l’osservatore si limitasse a guardare il mondo solo ed esclusivamente attraverso una delle due “finestre”, senza mai tener conto anche dell’altra.
A dire il vero è più frequente che l’unica finestra di osservazione diventi la realtà percepita o virtuale, che non il contrario. E allora – sulla scia di un certo tipo di informazione - si può essere indotti a pensare che in Italia sia in atto una vera e propria invasione di migranti, che i vaccini causino l’autismo, che esistano e siano dannose per la salute le scie chimiche. Che tutti i preti siano pedofili e che gli unici pedofili esistenti al mondo siano i preti. O che, per fare un esempio di qualche anno fa, tutti i giovani si divertano la sera lanciando sassi dal cavalcavia.
Questo atteggiamento fa parte delle tante schizofrenie della nostra epoca. Ad esempio la schizofrenia che da un lato idolatra il corpo umano in tante e diverse forme (basta guardare i cartelloni pubblicitari che assediano il nostro campo visivo per rendersene conto), dall’altro arriva a stabilire il diritto di negarlo fin dal grembo materno o di manipolarlo a piacimento (eugenetica) o di affittarlo come se fosse un magazzino nel caso della maternità surrogata. Per restare al campo più specifico della nostra tavola rotonda, direi che esiste ed è sempre più accentuata la schizofrenia che da un lato reclama, come è giusto, un insopprimibile diritto alla felicità per tutti gli esseri umani, dall’altro si crogiola e quasi si compiace delle cattive notizie che ogni giorno ci vengono riversate addosso, quasi come fossero camion di spazzatura in una discarica.
Una parola come al solito chiara l’ha detta in proposito papa Francesco in una intervista di qualche tempo fa al settimanale cattolico belga Tertio. In quella occasione, ai tre peccati della comunicazione più volte da lui stigmatizzati (disinformazione, calunnia e diffamazione), Bergoglio ne aggiunge un quarto e arriva a definirlo come una sorta di coprofilia o addirittura di coprofagia. Termini forti, sicuramente. Ma che ci danno la percezione della malattia di cui un po’ tutti soffriamo. Cioè la malattia del “voler sempre comunicare lo scandalo, comunicare le cose brutte, anche se siano verità”, trovando, ricorda il Papa, un’audience interessata nei lettori o telespettatori o navigatori di internet.
Quando parliamo di violenza sulle donne, di violenza all’interno della famiglia, di violenza in base all’identità religiosa, questo scenario sociale e queste schizofrenie vanno necessariamente tenute presenti. E non certo per negare il problema. I numeri sono incontestabili e sono anche impressionanti.
Per quanto riguarda il femminicidio – cito fonti Ansa – nel 2016 se ne sono contati 120. Anche nel 2017 la media è di una vittima ogni tre giorni. Negli ultimi dieci anni le donne uccise in Italia sono state 1.740, di cui 1.251 (il 71,9%) in famiglia.
Gli omicidi in ambito familiare, comunque, secondo le forze dell'ordine, sono in lieve ma costante calo: 117 nel 2014, 111 nel 2015, 108 nel 2016. Ad accumunare i tanti casi spesso ci sono incomprensioni e tensioni familiari, il desiderio di separarsi, l'affidamento dei figli.
Inoltre sono 3 milioni e 466 mila in Italia, secondo l'Istat, le donne che nell'arco della propria vita hanno subito stalking, ovvero atti persecutori da parte di qualcuno, il 16% delle donne tra i 16 e i 70 anni. Di queste, 2 milioni e 151 mila sono le vittime di comportamenti persecutori dell'ex partner. Ma il 78% delle donne che ha subito stalking, quasi 8 su 10, non si è rivolta ad alcuna istituzione e non ha cercato aiuto.
Tuttavia al di là dei numeri alcune riflessioni vanno necessariamente fatte. Dove finisce il diritto di cronaca e inizia il voyeurismo coprofilo (per ritornare alle parole del Papa)?
Come impostare un corretto rapporto tra la necessaria denuncia di queste piaghe sociali e una sorta di “accanimento” direi per niente terapeutico nel parlare insistentemente di tali fenomeni?
Come evitare che i toni e le modalità di un certo tipo di informazione inducano da un lato una sorta di assuefazione che sfocia nell’indifferenza e dall’altro addirittura una insana volontà di emulazione (nel caso già richiamato dei sassi dal cavalcavia questa volontà è stata documentata ampiamente).
In sostanza, come non gettare via il bambino insieme con l'acqua sporca? A tal proposito ascoltavo recentemente su Sky Tg 24, in relazione alla tragedia di Cisterna di Latina - dove un papà ha ucciso le sue due bambine e ferito gravemente la moglie, prima di suicidarsi -, un avvocato dire che "ormai la famiglia uccide più della mafia". Affermazione di una gravità tale che si commenta da sé. E soprattutto, domanda delle domande, quali misure preventive mettere in atto per cercare di risolvere il problema a monte?
Risposte certe a tutte queste domande ovviamente non ne ho. Ma quello che, anche a nome del direttore di Avvenire, penso di poter dire è che, come gli astronauti di Apollo 13, davvero "abbiamo un problema". Un problema di fondo, che rischia di perderci nelle profondità dell'essere.
Non posso dilungarmi e perciò, molto schematicamente direi così: è necessario da un lato tornare a riempire di contenuti valoriali il nostro vivere quotidiano riducendo al minimo le schizofrenie (non si può ad esempio far finta di non vedere le pesanti implicazioni che la sconsiderata diffusione della pornografia, con il suo postulato di riduzione della donna ad oggetto, ha su certi comportamenti di noi maschietti; non si possono lasciare i figli davanti ai videogiochi violenti e poi lamentarsi del bullismo nelle scuole; non si può continuare a soffiare sul fuoco della insoddisfazione della gente e poi stupirsi di fronte a episodi come quello di Macerata - dove uno squilibrato ha ferito alcuni stranieri come rappresaglia per la morte di una ragazza italiana -; non si può minare la credibilità sociale della famiglia e poi non cogliere il grido di disperazione che viene da tanti matrimoni andati in fumo e da tante tragedie familiari, fatte salve ovviamente le responsabilità personali di ognuno).
E' urgente che ognuno torni a interrogarsi sulle conseguenze delle proprie azioni. E in questo, noi come singoli giornalisti e come categoria nel suo complesso, abbiamo un lungo cammino da fare.
Come riempiamo le pagine dei nostri giornali, i nostri palinsesti, i nostri blog, le schermate delle nostre testate on line?
Ad Avvenire – lungi da noi la tentazione di salire in cattedra, vorrei solo offrire una testimonianza a nome del direttore e dei colleghi – questo problema ce lo poniamo quotidianamente. Tarquinio insiste tutti i giorni affinché in cronaca ci siano anche notizie positive. E non per edulcorare la realtà, nascondendo le notizie cattive quasi "per decreto", ma perché lo sguardo sulla realtà non viva solo di percezioni ma di effettività. Una realtà che è fatta – e sfido chiunque a dimostrare il contrario – di foreste che crescono silenziosamente, più di alberi che cadono con fragore.
MIMMO MUOLO
Vaticanista e Vice Capo della redazione romana di Avvenire.
*Lo scritto prende spunto dalla relazione presentata durante la II° sessione di lavoro su Società, mass media e forme diverse di violenza dentro e fuori le famiglia del Convegno tenutosi il 1 Marzo 2018 dal titolo “Coppia, famiglia,violenza e identità religiose: realtà, mass media, e stereotipi in Italia nel Mediterraneo", organizzato da Osservatorio Salute e Sicurezza, ComeUnaMarea onlus e Prospettive Mediterranee, con il patrocinio della Rete italiana per il dialogo euro-mediterraneo RIDE-APS, svoltosi a Roma presso Spazio Europa, via IV Novembre 149, Roma.
La II° sessione dei lavori iniziò proprio con il saluto ai presenti del dott. Mimmo Muolo, anche a nome del Direttore di Avvenire Marco Tarquinio.